di Miriam Tricoli
Kantorek direbbe che eravamo sulla soglia dell’esistenza; e in fondo è vero. Non avevamo ancora messo radici; la guerra, come un’inondazione, ci ha spazzati via.
Paul Baumer ha 18 anni quando Kantorek, il suo professore, convince lui e i suoi compagni di classe ad arruolarsi. Il suo entusiasmo patriottico spinge tutti i ragazzi a firmare per difendere l’onore della Germania prendendo parte alla Prima guerra mondiale, un evento storico mai visto prima.
Solo una voce si leva flebile fuori dal coro ed è quella di Josef Behm "un ragazzotto grasso e tranquillo" pieno di dubbi e paure che alla fine si lascia convincere per non sembrare ridicolo e soprattutto per non passare per vigliacco.
Josef è il primo a morire: accecato durante un attacco, viene abbattuto a fucilate dal nemico mentre striscia verso i compagni, impazzito dal dolore.
La cruenta fine dell’amico svela immediatamente a Paul e al suo gruppo la verità sulla Grande Guerra.
Tutte le parole che li hanno condotti al fronte, parole come gloria, grandezza e Patria rivelano sotto alla loro spessa patina dorata una realtà molto diversa fatta di trincee, terra che sommerge e frana sotto i colpi incessanti delle granate, artiglieria che risuona senza sosta, fame, polmoni che bruciano per il gas e urla agonizzanti di chi sa benissimo che sta per morire ma lo fa molto lentamente.
La morte è l’elemento centrale di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque e soprattutto della vita di Paul, il suo protagonista. La morte dei compagni che iniziano a cadere, uno dopo l’altro. La morte dei nemici che a conti fatti sono tipografi, librai, contadini, uomini qualunque esattamente come loro. La morte di una generazione, buttata in pasto ad una guerra per la quale non è preparata tanto da essere sterminata, falciata da mitragliatrici contro le quali si getta senza sapere come difendersi.
Molti soldati impazziscono, perdono ogni contatto con la realtà e si fanno insensatamente uccidere, altri provano a scappare per tornare dalla famiglia e al mondo a cui appartengono veramente. Altri ancora, come Paul e i compagni, semplicemente si adattano diventando "belve pericolose" all’attacco di un nemico che non è nemmeno più percepito come umano ma solo come un travestimento della morte. Combattere non significa più uccidere ma "difendersi dall’annientamento".
Deliriamo di rabbia, non siamo più legati impotenti, in attesa, al patibolo, possiamo distruggere, uccidere per salvarci, salvarci e vendicarci.
Quasi senza rendersene conto, dopo la furia cieca che li investe ad ogni attacco, i ragazzi si lasciano poi andare alla spensieratezza delle retrovie e quelli che fino al giorno prima erano degli spietati automi tornano ad essere dei "burloni superficiali, dormiglioni senza fine".
Finché siamo qui in guerra ogni giornata al fronte, a mano a mano che termina, precipita come una pietra nel profondo di noi stessi, troppo pesante per poterci riflettere subito. Se lo facessimo, ciascun giorno che finisce ci ucciderebbe; ho sempre osservato che l’orrore si può sopportare finché lo si evita semplicemente: ma uccide quando ci si ripensa.
Adattarsi o morire. Chi meglio di ragazzi che si trovano in quel particolare periodo della vita in cui è tutto in divenire, in cui il futuro non è ancora scritto ma il passato si allontana sempre di più alle spalle, può riuscire ad adattarsi alla vita in trincea? A differenza dei commilitoni più anziani, Paul e i suoi amici non hanno mogli e figli da cui tornare né un lavoro o una vita da cui ricominciare.
Per gli altri più anziani [la guerra] non è che un’interruzione al di là della quale possono ancora figurarsi qualche cosa. Invece noi ne siamo stati aggrediti e non abbiamo idea di come possa andare a finire. Sappiamo solo che ci siamo induriti, in una forma strana e dolorosa, nonostante non ci sentiamo neppure più capaci di tristezza.
Tornato nel paese natio dalla sua famiglia per qualche giorno di licenza, Paul si rende conto di non fare più parte del mondo "normale" ma di appartenere ormai completamente al fronte. Ascolta i discorsi di persone care e persone sconosciute, di chi parla di guerra pur non avendola mai vissuta e di chi invece mantiene un riserbo sull’argomento tanto ostentato quanto finto.
Oggi mi accorgo che senza rendermene conto mi sono logorato. Non mi sento più a mio agio qui. (…) Quando li vedo nelle loro stanze, nei loro uffici, nelle loro professioni, mi sento irrimediabilmente attratto vorrei essere anch’io uno di loro e dimenticare la guerra, ma nel contempo qualcosa mi respinge. (…) Gli uomini qui sono diversi, io non li posso capire, li invidio e insieme li disprezzo.
Solo il pensiero dei compagni rimasti in prima linea lo conforta, soprattutto Kat, il compagno più anziano, l’adulto del gruppo, la sua vera guida, il suo vero padre. È quasi con sollievo che Paul comprende e accetta quello che ormai è diventato il suo destino e quella che ormai è diventata la sua realtà: esiste una sola vita possibile ed è quella del fronte. Esiste una sola morte possibile ed è quella sul fronte.
VOTO: 4,5/5
Qualche informazione utile…
Titolo originale: Im Westen nichts Neues
Casa editrice: Neri Pozza
Anno di edizione: 2016
Pagine: 207
Prezzo: 11,40 €
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