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L'ombra dello scorpione | Stephen King

di Ellis Bottazzo



Nel sottosuolo del deserto californiano, finanziato con il denaro dei contribuenti, qualcuno aveva finalmente inventato una catena di sant'Antonio che funzionava davvero. Una catena di sant'Antonio decisamente letale.


Per qualche strana e masochistica ragione, in piena pandemia da COVID-19, a un lettore trentenne è venuto in mente di rileggersi L’ombra dello scorpione (titolo originale The Stand) di Stephen King dove, nelle prime fasi del romanzo, muoiono (quasi) tutti per una pandemia globale. E ancora peggio, al suddetto trentenne è venuto in mente di recensirlo.


Si tratta di una delle più atipiche fra le produzioni del noto scrittore americano, ma forse anche di una delle più amate dal grande pubblico, e probabilmente anche dal sottoscritto, il che non è così scontato. Datata 1978 e ambientata ovviamente negli Stati Uniti d’America, la novella parte subito con il botto: da un laboratorio governativo “sfugge” un virus altamente letale, probabilmente destinato ad un uso mirato come arma batteriologica.

Contagioso a livelli impensabili e con un tasso di mortalità di oltre il 99%, la malattia uccide in pochissimi giorni quasi tutta la popolazione americana e verosimilmente mondiale. Si tratta del famoso virus “Captain Trips”, che come spesso accade per molti elementi nei romanzi di Stephen King, costituisce un crossover tra vari suoi lavori. Lo ritroviamo infatti all’interno della saga della Torre Nera (l’alfa e l’omega di tutte le sue opere), così come vi ritroviamo il grande antagonista del romanzo, il cattivo per eccellenza, Randall Flagg, presente in svariate opere di King.

E fin qua non usciamo troppo dal seminato. I personaggi vengono adeguatamente presentati, c’è un virus killer che uccide la gente con dei purulenti bubboni neri, i sopravvissuti non sanno che fare, crolla la società civile e il mondo sprofonda in un caos alla “Ken il guerriero”, ma senza le persone che esplodono (D’oh!).

A dire il vero, il confine tra buono e malvagio in tutto il romanzo sembra essere alquanto netto, perciò i sopravvissuti tenderanno ad organizzarsi in due gruppi distinti, piuttosto lontani tra loro anche geograficamente: uno che segue la via della luce, l’altro che segue la via delle tenebre.

L’elemento di spicco di tutto il romanzo è però da ricercarsi all’interno della scienza sociologica. Infatti, ognuno dei due gruppi che i sopravvissuti creeranno, dovrà tentare di sopravvivere e di ricreare una società, partendo dall’unica risorsa di cui sono provvisti, vale a dire l’animo umano. Come si evolveranno le due società? È l’uomo che la crea la società, intesa come autoregolamentazione sovrana, alla quale tutti devono sottostare, o è la naturale conseguenza delle cose e dei comportamenti umani che porta a delle situazioni che devono essere in qualche modo normate? E soprattutto, le leggi, le norme e in generale le regole, servono davvero alla vita comune umana, se si è in presenza di un elevatissimo spirito di condivisione?


È questo il destino della razza umana. Socievolezza. Vuoi che ti dica che cosa ci insegna la sociologia a proposito della razza umana? Te lo dico in poche parole. Mostrami un uomo o una donna soli e io ti mostrerò un santo o una santa. Dammene due e quelli si innamoreranno. Dammene tre e quelli inventeranno quella cosa affascinante che chiamiamo «società». Quattro ed edificheranno una piramide. Cinque e uno lo metteranno fuori legge. Dammene sei e reinventeranno il pregiudizio.

Senza la pretesa di fornire una risposta precisa a quelli che sono in realtà grandi e complessi quesiti, L’ombra dello scorpione è sicuramente un buono spunto di riflessione, impreziosito da una vena action-adventure piuttosto marcata, dove trova spazio anche il sempre affascinante tema del viaggio. Non manca nemmeno il soprannaturale, non troppo invasivo, ma che si fa sentire quantomeno a livello di tematiche che non si possono spiegare con il mero raziocinio.

Un King sicuramente ancora non nel pieno della sua maturazione artistica, ma che comincia a prendersi certe libertà, e che soprattutto comincia a sperimentare.

Alcuni personaggi sono decisamente geniali, come il sociologo Glen Bateman, sulle riflessioni del quale varrebbe la pena aprire dei dibattiti seri, approfonditi e oltremodo attuali. In altri personaggi invece forse manca un po’ di coraggio. Lo stereotipo buono/cattivo è ancora insopportabilmente legato allo stile e forse al gusto dell’autore, e si ripresenta costantemente.

Altri elementi che possono infastidire alcuni lettori sono i mini-spoiler consapevoli, anche questa una scelta artistica frequente nei romanzi di Stephen King. In sostanza l’autore, a volte, getta in pasto al lettore una brevissima frase, o addirittura una singola parola, che lasciano intendere inequivocabilmente e volutamente il prosieguo di alcune situazioni fondamentali del romanzo.


L’edizione che ho scelto è quella integrale, riveduta e corretta successivamente dall’autore stesso, che comunque costituisce una mera espansione del romanzo originale, non certo un romanzo diverso. In questa edizione, il libro è decisamente lungo, ma scorrevole ai massimi livelli. Interessante anche la prefazione ad opera dello stesso King, che spiega la scelta di espandere il romanzo per meglio illustrare certe scelte di alcuni personaggi.


Pur con qualche difetto, rimane un must-read per tutti coloro che hanno almeno un interesse tra americanismo, ambientazione post-apocalittica e sociologia, inoltre, l’estremo realismo delle prime fasi del romanzo, se letto durante una pandemia globale, carica l’adrenalina del lettore, arrivando poi a risultare in un certo qual modo confortante.


Sì perché, diciamocelo, poteva andare peggio. Molto peggio.



 

VOTO: 4/5


Qualche informazione utile

TITOLO ORIGINALE: The Stand

CASA EDITRICE: Bompiani

ANNO EDIZIONE: 2012

PAGINE: 929

PREZZO: 18 €

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