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Notre-Dame de Paris | Victor Hugo

di Miriam Tricoli



Non guardare la faccia Fanciulla, guarda il cuore. Il cuore di un bel giovane è spesso deforme. Vi sono cuori ove l’amore non si conserva.

Chi di voi non ha mai visto il film di animazione della Disney del 1996, Il Gobbo di Notre Dame alzi la mano e si esponga alla pubblica gogna. Il dolce, timido Quasimodo, la bellissima e coraggiosa Esmeralda, la buffa capretta Djali, il simpatico Clopin, il crudele Frollo. Ma soprattutto Phoebus, impavido, biondo Capitano che ha alimentato le nostre ingenue speranze circa l’esistenza del Principe azzurro.


Bene, ora che vi ho richiamato queste dolci memorie, ora che state magari sorridendo ricordando quanto fossero divertenti i tre Gargoyle amici di Quasimodo, permettetemi di sbriciolare ogni vostro ricordo felice, lasciatemi farlo a pezzi lentamente abbandonandovi alla fine con un senso di smarrimento tale da far crollare la vostra granitica fede in tutto ciò che di bello la Disney vi ha insegnato.

Tutto questo lo farò raccontandovi Notre-Dame de Paris di Victor Hugo. Credetemi neanche il musical di Riccardo Cocciante potrà salvarvi.



Inizialmente ero restia a ricominciare questo mega mattone alto quasi quanto la Cattedrale vera e propria. Lo avevo iniziato anni fa ma mi ero bloccata quando mi ero resa conto che il Primo Capitolo del Primo Libro, intitolato Il Salone, è costituito effettivamente da 20 pagine scritte in microcaratteri e dedicate unicamente alla minuziosa descrizione di una sala. Non mi sentivo pronta a superare questo noiosissimo ostacolo all’epoca e in effetti non lo ero neanche quando l’ho ripreso in mano per la seconda volta; ma mi sono fatta coraggio e mi sono imposta di andare avanti, saltando qualche riga qua e là. Ecco, questo secondo me è il gigantesco difetto di Hugo: è un drago quando si tratta di raccontare la vicenda, è intenso, ironico, ti divori le pagine una dopo l’altra, ma ha questo leggerissimo neo, consistente nel destinare capitoli interi alla descrizione super particolareggiata di luoghi di vario genere. Passi quello dedicato a Notre Dame ma quasi 30 pagine per raccontarmi ogni tetto di Parigi visto dalla sommità della Cattedrale sono un crimine contro l’umanità!


La passione per le descrizioni infinite è comunque solo un trauma immerso nel trauma più esteso profondo costituito dall’intero libro. Ero convinta che fosse una storia permeata da amori profondi e romantici, con una forte forte critica ai pregiudizi basati sull’aspetto esteriore, sulle origini e sullo stile di vita delle persone. Ecco no, non proprio. Diciamo che una delle prime morali che possiamo trarre dalle quasi seicento pagine di libro è: non sognare il Principe azzurro perché gli uomini sono una massa di depravati, egoisti e meschini. A meno che non vivano in un campanile.

Dimenticate completamente i personaggi che avete visto in videocassetta o sul palco di un teatro.


Esmeralda è una sedicenne che cresce con gli zingari che l’hanno rapita ancora in fasce dalla casa della madre naturale. Ovviamente è bellissima, ogni uomo che la vede ha un embolo e anela soltanto al metterle addosso un cartello con scritto a caratteri cubitali “MIA”. Lei d’altra parte è pure una cucciolotta ingenua e sprovveduta: si innamora perdutamente del Capitano Phoebus che la salva dal primo tentativo di rapimento perpetrato nei suoi confronti da Claude Frollo, arcidiacono della Cattedrale di Notre Dame, e dal suo fedele campanaro storpio (sì, ahimè, proprio lui), Quasimodo. È talmente innamorata del baffuto soldato che alla fine tradisce il proprio nascondiglio e finisce per farsi impiccare solo perché sente la sua voce. Alla faccia del girl power: mi aspettavo una donna forte e indipendente, mi sono ritrovata una ragazzina inebetita da un sentimento che esiste solo nella sua instupidita testolina.


Ma parliamo di Phoebus. La distruzione dell’ideale di Principe azzurro, l’eclissi del concetto di amore romantico. È evidente perfino ai Gargoyle (che no, nel libro non sono vivi) che questo essere vomitevole vuole solo deflorare la piccola Esmeralda, essendo totalmente disinteressato e, a dire il vero, addirittura infastidito dal fiume di amore che proviene dalla ragazza. Promesso sposo della bella e soprattutto ricca Fleur De Lys, lui vaga di pagina in pagina masticando e sputando più o meno consapevolmente i sentimenti delle due ragazze, interessato soltanto alla volgare e libertina vita da soldato. Quando Esmeralda viene condannata a morte per averlo ucciso, conclusione di un piano tramato da Frollo, lui la vede andare verso il patibolo e niente, non un plissé, non un’alzata di mano per dire “Ehi, sono vivo, non posso essere vittima del mio omicidio e comunque ad accoltellarmi è stato il prete”. Un uomo orrendo, insomma.


E a proposito di uomini orrendi, eccoci arrivati a Claude Frollo ovvero la Ferrari degli uomini orribili. Lui e Quasimodo sono, in modi diversi, i due personaggi più intensi dell’intero libro: nel bene e nel male, con loro Hugo ha dato libero sfogo alla propria arte. Frollo vede Esmeralda che, adorabile minorenne, danza sul sagrato di Notre Dame e svalvola completamente. Da integerrimo religioso con un’esistenza rigida interamente dedicata agli studi, alla scienza e alla ricerca della pietra filosofale si trasforma in un essere primordiale, sbavante e ansante all’idea di possedere la bella “Egiziana”. Al grido di “Se non vuoi essere mia non sarai mai di nessuno”, accoltella Phoebus proprio mentre sta per coronare il suo desiderio di “concludere” con Esmeralda e fa in modo che la colpa ricada sulla ragazza che così viene condannata a morte. Non sapendo però che Quasimodo l’ha salvata e portata proprio a Notre Dame, luogo d’asilo dove nessuno può toccarla, Frollo ha un crollo mentale che viene perfettamente descritto da Hugo in uno dei capitoli migliori dell’intero romanzo. Devastato dalla morte dell’”amata”, si abbandona alla malvagità della propria anima, lacerato dalle sue seimila personalità che distruggono gli argini che contenevano il demonio insito in lui. Non preoccupatevi, il suo completo smarrimento, anche se meravigliosamente raccontato, non genera alcuna pietà nel lettore. Quando scopre che Esmeralda è viva non solo tenta di violentarla per la millesima volta, sempre in nome di quella malata e distorta idea d’amore che confonde il possesso e il sesso con i sentimenti, ma quando lei lo rifiuta ancora decide di tentare un’ultima volta di farla sua predisponendo un piano talmente crudele che finisce con il causare la rivolta dei malviventi della Corte dei Miracoli cui seguono un incalcolabile numero di morti e l’impiccagione della ragazza.


Invano Quasimodo cerca di salvarla. In tutto questo mondo in cui gli uomini sembrano incapaci di amare qualcuno in maniera sana, il campanaro gobbo, storpio, sordo e con un occhio solo è l’unica speranza, l’unico che nonostante le sevizie, gli insulti i maltrattamenti subiti sia dalla gente che da Frollo, l’amato padre adottivo, sembra possedere un bagaglio sentimentale ed emotivo equilibrato. Si innamora di Esmeralda per una sua gentilezza, un goccio d’acqua mentre lui è alla gogna, e fa di tutto per ricambiare proteggendola da questo mondo di maschi interiormente abominevoli che la vedono solo con gli occhi che hanno dalla cintola in giù. Anche Quasimodo vede la bellezza della ragazza ma non vuole possederla solo aiutarla, difenderla: non entra mai nella stanza dove la nasconde dopo il salvataggio dalla forca e anzi, cerca di non mostrarsi troppo ai suoi occhi per non disgustarla con il suo aspetto. La sua volontà di proteggere la Zingara in verità causa un discreto numero di decessi, tra cui quello dello stesso Frollo. Quando si rende conto che è stato proprio il padre adottivo a causare la morte della ragazza l’anima del Gobbo si lacera: non può sopportare di aver fallito nel difendere l’amata, di averla persa ma la sua devozione nei confronti di chi lo ha accolto e lo ha cresciuto come un genitore è profonda. Frollo decide il suo destino quando lascia libero il demone che è in lui e scoppia in una crudele e fragorosa risata vedendo Esmeralda penzolare sulla forca. L’animo gentile di Quasimodo non può tollerare tanta cattiveria così istintivamente prende l’orrido essere che lo ha accudito e lo scaraventa giù dalla Cattedrale (un minuto di ovazione, grazie). Perdendo entrambe le persone amate, Quasimodo perde anche la propria ragione di essere; non gli resta che raggiungere il corpo di Esmeralda, sdraiarsi accanto a lei e lasciarsi morire.


Sipario? No, non ancora. C’è un altro personaggio, estremamente ingombrante, in questo romanzo. Il popolo, la gente. Siano essi delinquenti, mendicanti, borghesi, nobili, religiosi o Re, Hugo descrive, usando a volte un’ironia decisamente pungente, una massa di individui volubili, pavidi, gretti ed egoriferiti. L’umanità è un disastro, è crudele e meschina, gode delle sofferenze altrui, cambia il proprio umore e le proprie idee nel giro di pochi secondi osservando il dolore degli altri con curiosità morbosa o con annoiato distacco. Il panorama umano che ne viene fuori è abbastanza sconsolante e Hugo è bravissimo nel trasmettere questo senso di totale decadenza dei sentimenti e della “morale”, creando un’atmosfera così rarefatta, putrida e cattiva da risultare soffocante.


Non credo che mi riprenderò molto presto dai molteplici traumi che mi ha causato questo libro. Forse avrei dovuto continuare a fermarmi alla descrizione del Salone.

Di certo a quest’ora avrei continuato a credere alla storia del Principe azzurro.


Parigi si sveglia e si sentono già Le campane a Notre Dame Il pane è già caldo e c’è gente che va Per le vie della città Le campane dai forti rintocchi Come canti risuonano in ciel E tutto lo sanno il segreto è Nel lento pulsar Delle campane a Notre Dame

(da Il Gobbo di Notre Dame, Disney, 1996)



 

VOTO: 4/5


Qualche informazione utile… CASA EDITRICE: Einaudi PRIMA EDIZIONE: 2019 PAGINE: 550 PREZZO: 14,00 €

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