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La scuola cattolica | Edoardo Albinati

di Chiara Mineo


Caratteristica dell’eroe non è certo la purezza, semmai l’impurità, connessa alla violenza che egli esercita e da cui è contaminato. Possono esistere cavalieri senza paura ma nessuno, proprio nessuno, senza macchia.

Dovete sapere che, tra le caratteristiche peculiari del gruppo di lettura "I lettori di via Cavour", vi è quella di affezionarsi a fenomeni casuali ma ricorrenti che ad un certo punto vengono assurti a dogmi, nonostante le timide rimostranze di qualche voce minoritaria.


"Saul Bellow poteva dedicarsi all’addestramento delle aquile".

"Gli scrittori sudamericani non ci piacciono". (qui dissento fortemente)

"I libri vincitori del premio Strega sono sopravvalutati".


Ecco, il libro di Albinati – vincitore effettivamente del Premio Strega nel 2016 – rispetta parzialmente il dogma qui sopra indicato, e dunque entra a pieno merito nella categoria dei libri meritevoli di commento.


Mi sembra doveroso introdurre il commento con quello che a mio avviso è uno dei punti più deboli e al contempo un grosso ALTOLÀ per chi si accinge a leggerlo: la lunghezza, che non è mai stato un efficace dissuasore nei miei confronti, in questo caso emerge in tutti i suoi lati negativi, soprattutto a svantaggio di una lettura scorrevole e di un giudizio coerente; più volte, nel corso della lettura, ho mutato opinione sul libro (a volte in senso positivo, altre in senso negativo) e sono sicura che se si fosse privilegiato un taglio più succinto avrebbe trovato un favore più ampio, sempre che questo sia l’obiettivo di chi scrive.


Edoardo Albinati, scrittore e insegnante nelle carceri romane, prende spunto dalla sua adolescenza di ragazzo benestante e cattolico del Quartiere Trieste (QT) per raccontarci gran parte della sua vita, della sua crescita, della sua evoluzione come uomo e come persona, sullo sfondo del grande protagonista che domina il suo libro (e no, non è il delitto del Circeo, DDC, di quello si parlerà più avanti), ossia il maschile, l’uomo, ciò che lo rende tale e differente dal resto.

Come già accennato l’autore, con un escamotage in parte accattivante per chi è appassionato di cronaca e di genere true crime, utilizza la nota vicenda del delitto del Circeo e le sue vicende personali che lo legano ad esso come amo per farci abboccare e tenerci incollati alle quasi 1300 pagine che compongono il volume.


Verso la fine di settembre del 1975, in una località turistica a circa un’ora da Roma, tre ragazzi massacrano e uccidono – in un’escalation di violenze e sevizie – due ragazze da poco conosciute, tenendole segregate per giorni e venendo scoperti solo all’atto di sbarazzarsi dei cadaveri, grazie alle urla e alle richieste di aiuto di una delle due che si era finta morta. Albinati non solo conosceva i ragazzi in questione, ma almeno due di essi avevano frequentato la sua stessa scuola (l’istituto San Leone Magno, SLM), avevano abitato nel suo stesso quartiere, conoscevano i suoi amici e l’autore stesso.

Da questa vicenda tragica, che scuoteva coscienze e imponeva riflessioni già all’epoca, Albinati trova lo spunto per far risuonare ancora quegli echi che appartengono al passato ma si sono intrecciati nella vita e nella storia del protagonista così come in quella dell’Italia stessa.


La scuola cattolica parla di una generazione, quella nata tra gli anni 50 e 60 del ‘900 (quelli che ora chiamiamo boomer), che si vede strattonata tra l’educazione, le tradizioni familiari e le nuove tensioni sociali che percorrono il Paese e la cultura in ogni sua forma: ci sono le lotte politiche, la liberazione (o presunta tale) sessuale, le rivendicazioni femministe, la crisi del patriarcato, la disgregazione dello status quo.

Il sentore che qualcosa stia mutando pervade tutto il racconto del protagonista del libro, anche se noi osservatori del futuro abbiamo il privilegio di sapere che spesso cambia tutto affinché non cambi niente.

Lo strappo tra quello che c’è e quello che ci sarà è tutto racchiuso qui, in questo volume traboccante di aneddoti e di storie, di riflessioni e di soliloqui, di racconti e di artifici. È la vita di un ragazzo presentata nella sua più disarmante umanità, spogliata dagli orpelli di narrazioni benevole o caute di chi racconta qualcosa che non gli appartiene: il pregio di Albinati è che parla di sé stesso, parla continuamente di sé stesso, per ben 1300 pagine; parla di sé stesso anche quando vorremmo che ci raccontasse dei mostri del Circeo, o almeno di qualche suo compagno così particolare, interessante, e invece per sentire di nuovo che fine ha fatto Arbus dobbiamo aspettare le ultime centinaia di pagine; parla di sé stesso anche quando vorremmo conoscere la vita dei carcerati dal lato del loro insegnante; parla di sé stesso anche quando vorremmo un feroce ritratto degli abitanti del quartiere Trieste o almeno qualche sordido racconto del SLM.


L’autore, invece, con grande abilità non si addentra mai troppo in queste vicende, o meglio, non indugia. Stuzzica l’attenzione del lettore, la tiene quasi sempre viva, ma sono tutte strategie letterarie ponderate: il libro spazia tra vari generi letterari (romanzo, saggio, autobiografia) senza mai sposarne dichiaratamente uno, e non è infrequente domandarsi qual è il tono dell’autore, quale “credibilità” dare a ciò che si sta leggendo.

Se per certi versi può dirsi riuscita, tale struttura a mio avviso risulta talvolta scoraggiante – ove non bastasse la mole di pagine – poiché appesantisce molto la lettura e la stessa capacità (richiesta all’autore quanto al lettore) di "tenere i fili" del discorso complessivo. Ad aggravare lo stile narrativo, con cadenza irregolare, si aggiungono intere parti – a volte di notevole complessità e lunghezza – dedicate ad argomenti connessi al racconto ma trattate con toni saggistici (ad esempio la parte sulla borghesia, quella sulla violenza, per non dimenticare il pedissequo reportage di tutte le annotazioni del professor Cosmo sul suo diario fino al giorno della morte).

Se volessimo nobilitare i riferimenti potremmo parlare di stile manzoniano, ma qui non ci troviamo di fronte ai Promessi Sposi: un libro non deve necessariamente piacere, nel suo significato più schietto, ma non deve nemmeno pungolare tutta l’inadeguatezza del lettore di fronte alle difficoltà di approccio.


Questo non significa, a mio avviso, che La scuola cattolica sia un libro sopravvalutato o sconsigliabile, al contrario vi ho trovato innumerevoli spunti e riflessioni che invitano a pensieri complessi sulla realtà, circostanza che non trovo così frequente.

Tanti sono i macro-temi contenuti nel libro: molto presente, soprattutto all’inizio, è chiaramente quello della morale cattolica, dell’educazione cattolica che impregna l’infanzia e la formazione del protagonista, il pensiero cattolico che dovrebbe illuminare e dare risposte, che si erge nella sua forma più rigorosa ed elitaria (scuole private, classi maschili, ritiri spirituali, funzioni comuni, preti dappertutto).

Un altro tema dominante è quello della violenza, nonostante l’educazione cattolica. Una violenza che serpeggia in ogni azione quotidiana, che esplode nelle classi liceali – linguaggio di un’adolescenza privata di altre forme espressive – che invade le strade, i rapporti tra i compagni di classe e coi genitori. La parte buia dell’educazione cattolica, ove la violenza – scrive Albinati – era all’ordine del giorno.


Può esservi una rigenerazione che non passi attraverso la violenza? Come può rinascere qualcosa che non sia prima disgregato? Si può passare da un ordine ad un altro senza che vi sia un intervallo di caos? Chi indica la salvezza la intravede oltre una barriera di fiamme. Più alte si levano, prima bruceremo, prima saremo risanati. Occorre che il campo bruci perché sia fertilizzato. L’unica salvezza dal disastro è un disastro ancora più grande.

In parte collegato al tema della violenza, vi è la riflessione legata al maschile – all’essere uomo – e alla profonda crisi del significato che questo possa avere: negli anni 70 del ‘900 questo tema è il detonatore di profondi cambiamenti che, loro malgrado, investono gli adolescenti e tutti gli uomini che gravitano attorno a quell’epoca storica, arrivando fino ad oggi sotto forma di dibattito – intatto – sul ruolo, le forme, il senso di essere uomini nel mondo. Albinati, come tutte le parti in cui mette sé stesso sul piatto, rivela grande abilità e un’analisi lucida nel rappresentarci questi aspetti, partendo dagli stereotipi, le debolezze, i dubbi, portandoci fino agli aspetti più oscuri della maschilità: è singolare notare come questi siano gli unici passaggi in cui si affronta, si parla, si coinvolge anche la figura femminile, talvolta per rappresentarla quale essere incomprensibile da svelare, sovente come antagonista.


Ecco come si giustifica l’agonismo dell’uomo: egli prevarica la donna, deve prevaricarla, per non essere a sua volta sottomesso. È una mossa preventiva: se l’elemento femminile non viene combattuto finirà per soggiogare quello maschile – o con l’amoresessuale o con l’ingranaggio familiare. L’uomo finirà comunque incatenato.

Infine, come già accennato in parte, l’autore concede larghi spazi di riflessione e molta critica alla borghesia, intesa come classe. Quasi richiamando dei pensieri di stampo pasoliniano, anche in questo scritto la borghesia non manca l’occasione per essere messa alla pubblica gogna, esempio massimo di perbenismo e perdizione ben mescolati, vassalla del pensiero capitalista nonostante le aspirazioni di elevazione. Pare questa, tra le condizioni di classe, la peggiore possibile in cui nascere, crescere e vivere: grettezza, avidità, noncuranza e fame di sopraffazione diventano i peggiori caratteri che la contraddistinguono, ma non di per sé, bensì solo nel momento in cui vengono celati sotto un pesante intonaco di presentabilità. È la falsità di fondo, l’equivoco, a renderla invisa e mostruosa.

Albinati ha il grande pregio di scrivere un libro quasi formativo, per certi versi imprescindibile, per capire quel tipo di clima e di pensiero che hanno impregnato e messo e in crisi la società degli anni 70. Se non fosse anacronistico, si potrebbe parlare di "picconatori" o addirittura di "rottamatori", ma la verità è che si parla del mondo per parlare di sé stessi, e viceversa, dunque possiamo scegliere di leggere La scuola cattolica per avere uno spaccato della Roma intorno al 1975 oppure per avere uno spaccato della vita interiore ed esteriore di Edoardo Albinati, rappresentativa come ragazzo di quell’epoca e come essere umano in generale.

L’intero libro – e mi perdonerà l’autore se ho mal intepretato – può essere efficacemente sintetizzato nel celebre verso degli Smiths: “see, the luck i’ve had, can make a good man turn bad”.



 

VOTO: 3,5/5


Qualche informazione utile...


CASA EDITRICE: Rizzoli

ANNO EDIZIONE: 2016

PAGINE: 1294

PREZZO: 18 €

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