di Claudia Gentile
“L’Esperimento è l’Esperimento” asserì il Mentore. “Da te non esige la comprensione, bensì qualcosa di completamente diverso”.
La città condannata è un romanzo russo di genere fantascientifico scritto dai fratelli Strugackij tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, ma che poté vedere la luce solo una ventina d’anni dopo.
Precisazione doverosa per tutti coloro che, nonostante le parole “romanzo russo di genere distopico-fantascientifico”, hanno resistito dall’uscire da questa pagina (grazie innanzitutto!!): questa recensione non ha ad oggetto un cosiddetto “mattone russo”.
Non è un libro facile e scorrevolissimo, questo sì, ma assolutamente non è uno di quei libri che ti sfiniscono prima di arrivare a pagina 50. Lo giuro! Abbiate fede!
Ma andiamo con ordine. Anzitutto, la trama. La storia si svolge in una non meglio geolocalizzata Città rinchiusa, a est, da un Muro Giallo e, a ovest, da un profondo precipizio.
Il sole viene acceso e spento da una macchina. Gli abitanti della Città provengono da Paesi diversi e anche da periodi diversi del XX secolo, alcuni vi si ritrovano per scelta propria, altri perché costretti (solitamente dopo essere stati fatti prigionieri nel loro Paese).
Tutto è governato dall’Esperimento, di cui i personaggi della storia così come il lettore sanno molto poco, sia del suo fine che delle sue regole.
Gli unici elementi chiari sono la presenza di un Mentore per ciascun abitante della Città, una sorta di coscienza che li guida nell’Esperimento, e la legge sul lavoro diversificato come base della struttura sociale: periodicamente ad ogni cittadino viene affidato un nuovo lavoro, una nuova mansione all’interno della società. La struttura stessa del romanzo è impostata secondo questo schema, ogni parte del libro corrisponde a un lavoro svolto dal protagonista, Andrej Voronin (il netturbino, l’inquirente, il redattore…).
A fare da contorno a questo incomprensibile contesto, ci sono diversi elementi assurdi come Edifici Rossi che compaiono e scompaiono o invasioni di scimmie sanguinarie.
Un po’ confusi? Giusto così. O meglio credo che uno degli obiettivi dei fratelli Strugackij fosse proprio questo: spiazzare e disorientare il lettore, talvolta creandogli addirittura un senso di angoscia, per l’impossibilità di trovare una spiegazione, un senso logico a quello che viene raccontato.
Gli stessi abitanti della Città non hanno gli elementi per cogliere la ratio di quello che vivono, non ne conoscono il fine ma comunque, in qualche modo, si adattano. Si adattano all’esperimento e si adattano ai modelli di vita che di volta in volta questo sistema impone loro.
L’Esperimento è l’Esperimento è la risposta per qualsiasi cosa.
Izja Katzman, una volta, aveva osservato a questo proposito che una città con un milione di abitanti, priva di un’ideologia sistematica, avrebbe inevitabilmente finito per creare i propri miti.
I fratelli Strugackij riescono a dimostrare, attraverso una storia a tratti addirittura assurda e bizzarra, come, in base alle diverse pressioni e circostanze della vita, la visione del mondo di una persona possa radicalmente cambiare, passando da uno stato di fanatismo a uno di totale disorientamento nel momento in cui viene privato di un’ideologia.
E sotto questo profilo si tratta di un vero e proprio romanzo biografico (tant’è che uno dei titoli provvisori fu Mio fratello e io). Infatti, insieme a questa descrizione drammatica dell’uomo, il romanzo vuole essere anche una critica al regime comunista, sotto cui gli autori stessi hanno vissuto.
La storia è permeata in tutto il suo evolversi di questo aspetto, talvolta anche sotto forma di parodia: lo “sparring partner”del protagonista, quello che nelle discussioni lo porterà poco per volta a svelare il senso (o il non senso?) dell’Esperimento, è un ebreo, il quale tra l’altro pronuncerà anche la frase “l’uomo russo deve credere in qualcosa”; oppure la somiglianza che man mano si svelerà tra Andrej e un personaggio nazista.
Per questo e per molti altri aspetti La città condannata fu definito dagli autori stessi “il romanzo nel cassetto”, perché fin dal momento in cui hanno iniziato a scriverlo sapevano benissimo che non avrebbero potuto pubblicarlo. Breve aneddoto a tal proposito: alla fine del 1974, a seguito di alcuni gravi casi di condanne per testi di propaganda antisovietica, il testo venne ribattuto in tre copie, due delle quali vennero consegnate a due persone fidate e oneste (un moscovita e un leningradese) ma che non facessero parte delle loro cerchia di conoscenti. Il testo fu così conservato fino alla fine degli anni Ottanta quando venne pubblicato diviso in due libri.
Come ho affermato in apertura La città condannata non è un libro semplice, a tratti forse anche poco scorrevole, sicuramente non è la “lettura da ombrellone”, ma è un libro che offre importanti riflessioni e elementi per ragionare su quello che siamo e soprattutto sul nostro essere individui all’interno di una società.
Certo, non una delle attività più divertenti che si possano fare ma forse, soprattutto di questi tempi, varrebbe la pena fare lo sforzo.
Il Mentore lo ha detto chiaramente: la cosa più importante è credere in un’idea fino alla fine, in modo incondizionato. Rendersi conto che la non comprensione è una delle condizioni indispensabili per l’Esperimento. E, naturalmente, la più difficile.
VOTO: 3,5/5
Qualche informazione utile...
TITOLO ORIGINALE: Град обреченный
CASA EDITRICE: Carbonio Editore
ANNO EDIZIONE: 2020
PAGINE: 426
PREZZO: 18 €
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