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Stecchiti, le vite curiose dei cadaveri | Mary Roach

di Erica Delle Curti



Per come la vedo io, essere morti è un po’ come andare in crociera. Passi la maggior parte del tempo sdraiato sulla schiena, con il cervello in pappa e le carni che iniziano a rammollirsi; non succede niente di speciale e non ci si aspetta niente da te.


Correva l’anno 2012 e cose incredibili accadevano. La Concordia naufragava. L’Italia non arrivava ultima al Sei Nazioni. La fine del mondo profetizzata dai Maya veniva portata alla ribalta. Morivano Neil Armstrong, Rita Levi Montalcini e Lucio Dalla (e quindi sì, il mondo sarebbe potuto anche finire lì). Inoltre, una me diciannovenne presentava I serial killer nella storia dell’umanità come “ricerca a piacere per esercitarsi a parlare in vista dell’orale di maturità”.


Corre l’anno 2020. L’Australia brucia. Si preannuncia l’ennesimo rischio guerra mondiale come se la Terra non fosse già quotidianamente sotto bombardamenti. Scoppia una pandemia. Bill Gates è colpevole della diffusione di malattie, vaccini, riti vodu e starnuti da pioppo (e quindi sì, chiederei cortesemente di far finire il mondo per davvero, se nessuno ha niente in contrario). Infine, a coronamento di queste disgrazie, una me ventisettenne recensisce Stecchiti, le vite curiose dei cadaveri di Mary Roach come “articolo” per questo meraviglioso blog.


Lugubri coincidenze? Probabilmente sì, visto il numero di volte in cui l’apocalisse è stata profetizzata e il nostro pianeta è risultato vittima di disastri ambientali. E soprattutto considerato il fatto che questa volta non sono stata io a scegliere l’argomento della mia produzione, ma è stato l’argomento a scegliere me attraverso una persona che ha pensato, non a torto, che questo libro potesse piacermi.


E veniamo appunto al libro.

Difficilmente nascerà lo studioso in grado di spiegare da un punto di vista scientifico cosa succede alla nostra anima dopo la morte. Ma grazie allo sforzo e agli esperimenti di capaci e incapaci ricercatori del passato siamo ora in grado di conoscere con accurati dettagli (compreso il numero di larve che si formano nel nostro organismo post mortem) cosa accade dal punto di vista fisico quando leviamo definitivamente i tacchi da questo mondo. E questo libro ce lo racconta.

Un macabro concentrato di decomposizione? Forse, ma non solo. L’autrice, con uno stile ironico e brillante, ha il grande potere di raccontarci di cadaveri come la zia simpatica della famiglia ci racconterebbe del suo ultimo viaggio a Bangkok durante la cena di Natale. Il pensiero di insetti fastidiosi e odori nauseabondi non smetterà comunque di farci pendere dalle sue labbra (ma magari meglio farlo a stomaco vuoto).

Tessuto dalle mani di una che ha fatto bene a scegliere di vivere scrivendo, Stecchiti si presenta quindi come un saggio divulgativo in cui la Roach prende per mano il lettore che si ritrova ad assistere con lei a vere sessioni di laboratorio. Questa esperienza “pratica” viene intervallata da racconti storici che ci permettono di comprendere come la scienza e la medicina siano riuscite a progredire nel corso dei secoli grazie al contributo di cadaveri più o meno consenzienti.

Ogni volta che si è riusciti a sviluppare una nuova metodologia chirurgica, dal trapianto di cuore alle operazioni di cambio di sesso, al fianco dei chirurghi c’erano i cadaveri, e scrivevano la Storia insieme a loro con quell’atteggiamento discreto e smembrato che hanno.

Ai cari estinti dobbiamo molto. E non solo per ciò che hanno rappresentato affettivamente per noi da vivi. Gli dobbiamo le scoperte sull’utilità della cintura di sicurezza e sull’esatta durezza che il nostro parabrezza deve avere per non causarci una commozione cerebrale; gli dobbiamo le ricerche sui disastri aerei, sui trapianti e sul potere d’arresto dei proiettili. Questo significa che, se siamo stati vittime di incidenti o oggetto di interventi, ai morti dobbiamo letteralmente la nostra vita. Ad alcuni cadaveri dobbiamo anche la disputa storica sull’autenticità della Sindone e la possibilità di utilizzare pelle morta per ingrandire peni vivi. Ma questo (forse) ci interessa relativamente meno.


Personalmente ho trovato più coinvolgente addentrarmi nelle pagine sul dibattito relativo alla grande domanda “dove ha sede la nostra anima?”. È un quesito che non ha solo risvolti spirituali ma che ha molto a che vedere con la donazione di organi. È il cervello che non dà più comandi o il cuore che non pulsa più a stabilire che non c’è più niente da fare per noi? E, in base a questo, quando i nostri organi possono passare ad un nuovo proprietario? Ci sorprenderà scoprire che i Babilonesi credevano che la sede della nostra anima fosse il fegato (e a quel punto io mi sarei già giocata la mia a suon di spritz). Ma anche che, millenni dopo, gli avvocati di Andrew Lyons, colpevole di aver sparato in testa ad un uomo, basarono la difesa al processo sul fatto che il cuore della vittima stesse ancora battendo nel momento in cui venne estratto dal suo corpo per essere donato. Innocente? Colpevole. E questo portò a stabilire che la definizione legale di morte fosse cerebrale e non cardiaca.


In conclusione ad una lunga ma intrigante serie di aneddoti come questo, l’autrice chiude con una riflessione su cosa vorrebbe fosse fatto delle sue spoglie. Come se non avessimo già abbastanza cose a cui pensare sulla nostra vita, potremmo iniziare anche noi a considerare cosa fare del nostro corpo una volta morti. La buona notizia è questa: se anche la nostra presenza sulla Terra fosse stata disastrosamente inutile, avremmo comunque la possibilità di riscattarci e fare qualcosa di buono da defunti.

Una lettura istruttiva, coinvolgente, consigliata anche ai deboli di cuore (o di fegato?).


Vengono smembrati, aperti, riarrangiati. Ma, e qui sta il punto, non soffrono. I cadaveri sono i nostri supereroi.



 

VOTO: 4/5


Qualche informazione utile…

Titolo originale: Stiff. The curious lives of Human Cadavers

Casa editrice: Mondadori

Anno di edizione: 2009 (ed. originale Einaudi, 2005)

Pagine: 249

Prezzo: 14,00 €

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